The societal purpose of the media

“…a propaganda model suggests that the societal purpose of the media is to inculcate and defend the economic, social and political agenda of privileged groups that dominate the domestic society and the state. The media serve this purpose in many ways: through selection of topics, distribution of concerns, framing of issues, filtering of information, emphasis and tone, and by keeping debate within the bounds of acceptable premises.”

Noam Chomsky, Manufacturing consent

Wikileaks: Amazon si è sparata nel piede

Totalmente a margine della vicenda WikiLeaks, ma bisognerà pur notare che una delle più forti resistenze all’adozione del cloud computing è la sicurezza dei miei dati su server non miei e che Amazon, nel sospendere senza preavviso il suo servizio a un cliente pagante, nel farlo su basi puramente discrezionali, non motivate da una formale ingiunzione ufficiale, non ha certo rassicurato i titubanti.

La Acceptable User Policy di Amazon proibisce “attività illegali”. Si può essere d’accordo su questo punto senza troppi problemi, dato che per dichiarare qualcosa “illegale” occorre una sentenza; anche se “illegale in quale giurisdizione? è una domanda non sempre semplice”

Molto più preoccupante è il riferimento ai contenuti offensivi, ovvero:

Offensive Content. Content that is defamatory, obscene, abusive, invasive of privacy, or otherwise objectionable.

“Or otherwise objectionable” significa, puro e semplice, che Amazon può cacciarti fuori dai suoi server perché sì, e tu non puoi farci niente. I tuoi dati sono alla mercè del primo funzionario che si sveglia storto e decide, di sua iniziativa e senza una base legale, che i tuoi dati sono objectionable.

Dopo la vicenda WikiLeaks, questo fatto è diventato clamorosamente evidente a tutti.

Aggiornamento:

Anche David Weinberger lo nota:

Amazon’s capitulation is especially disappointing. It has so benefited from its enlightened ideas about trust and openness. Yet, because karma does occasionally get itself out of bed in the morning, they will pay: What business is going to trust its data to Amazon’s cloud, knowing that one phone call from Senator McScrooge is enough to get Amazon to inspect or destroy its data?

E Doc Searls nel post FreedomLeaks, interessantissimo e pieno di link utili, dice:

The pro formalities of these conform to the submissive/dominant relationship between clients and servers. These agreements, known as contracts of adhesion, nail down the submissive party while leaving the dominant party free to change the terms. Such is the law of the Web’s jungle: a system in which site owners control the rules of engagement, and provide the means as well.

Infine l’interessante discussione su FriendFeed è disponibile qui (per qualche motivo, non funziona l’importazione automatica dei commenti. FF è sempre più rotto).

Wikileaks: switch.ch resiste

In questa storia c’è anche chi non cede alle pressioni. Un applauso a switch.ch, il registry dei siti .ch che si rifiuta di buttar giù wikileaks.ch:

SWITCH, the registry for .ch internet addresses, is currently receiving a large number of enquiries as to the circumstances under which SWITCH would delete wikileaks.ch. This is governed by law.

As the registry for .ch and .li domain names, SWITCH is not responsible for the content of websites. Whether the content of wikileaks.ch is of relevance for criminal law is a matter for the courts to decide on.

Statutory basis
A statutory basis, such as a court order, is required for the deletion of a domain name.

Semplice, no? Si prendono certi provvedimenti solo su ordine di un tribunale. Vallo a spiegare ai calabraghe Tableau Software, Amazon, easyDNS, PayPal, Mastercard, Postfinance, Visa.

Wikileaks: che vergogna

“I can use Visa and Mastercard to pay for porn and support anti-abortion fanatics, Prop 8 homophobic bigots, and the Ku Klux Klan. But I can’t use them or PayPal to support Wikileaks, transparency, the First Amendment, and true government reform.”

Jeff Jarvis

Adotta un documento di Wikileaks!

WikiLeaks è sotto attacco furibondo. Prima i server di Amazon, poi il DNS, poi le donazioni via PayPal. Ci ricorderemo, la prossima volta che abbiamo bisogno di un server virtuale o di un pagamento online? Spero di sì.

I tentativi di danneggiare WikiLeaks sembrano la pura e semplice rappresaglia USA per aver causato imbarazzo. La Clinton parla di Assange come di un hacker criminale, ma qual è il reato?

Dare visibilità pubblica a documenti riservati ricevuti da fonte anonima: non è quello che hanno fatto anche Der Spiegel, il Guardian e tutti gli altri? Perché il sito del New York Times non è stato oscurato? Eppure i grandi media hanno collaborato strettamente con WikiLeaks e anzi hanno fatto da potentissima cassa di risonanza in tutto il mondo (beh, quasi).

In fine, non si può non notare che gli attacchi sono cominciati dopo che in una recente intervista Assange ha rivelato che il prossimo obbiettivo sarà una grossa banca americana. Forse la paura di future rivelazioni è più forte di ogni altra considerazione?

Comunque: gli USA hanno buon gioco a prendersela con un singolo sito. Ma se invece dovessero prendersela con tutta l’internet? La mia modesta proposta è che ognuno di noi adotti un documento di WikiLeaks.

Si troveranno al mondo 260.000 blogger disposti ad adottare ognuno un documento? A creare una pagina e a taggarla correttamente? Per tutto il resto, c’è Google.

Let’s route around obstacles!

Aggiornamento:

Non è la prima volta che succedono queste cose: Daniel Ellsberg and the Pentagon Papers.