La liquefazione dell’hardware

The Economist di questa settimana, nella sezione Business a p. 68 e 69 (oltre che online), ha un interessante articolo su virtualizzazione e cloud computing. L’articolo nota come l’IT stia rapidamente passando da spesa di capitale, con tutti i problemi di inefficienza, ammortamenti etc., a spesa operativa come la corrente elettrica.

Se il PC aziendale, blindato sicuro e con le applicazioni aziendali, è una macchina virtuale, allora è possibile eseguirla su qualsiasi PC, anche quello personale del dipendente, e tra poco anche su tablets, smartphones etc.

L’articolo tocca anche un altro punto dolente: in uno scenario virtualizzato, il ruolo del sistemista di primo livello viene a ridursi notevolmente se non a scomparire del tutto. E questo è uno dei principali motivi di resistenza all’adozione di queste tecnologie.

47 risposte a “La liquefazione dell’hardware”

  1. La liquefazione dell’hardware: The Economist di questa settimana, nella sezione Business a p. 68 e 69 (oltre che…

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  2. Non è un gran problema: in realtà chi fa il sistemista (di qualunque livello) si “ricicla” ogni pochi anni. Competenze che oggi servono, domani saranno inutili, ma ci saranno altre cose da sapere e da fare. Forse si ridurrà il personale, ma va bene così.

  3. Comunque, la resistenza all’adozione del cloud ha altre ragioni. A oggi ci sono notevoli problemi di sicurezza, non tutto può essere passato su un cloud, vedi, per esempio, applicazioni i/o intensive. Ci sono parecchie ragioni tecnich,e prima che antropologiche, a rallentare il cloud computing

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  4. Andrea ha perfettamente ragione. Mi viene in mente per esempio il profilarsi all’orizzonte la (nuova) figura del consulente che sa “tutto” di cloud e affianca la società nella scelta della soluzione migliore per la loro esigenza. Si fa presto a dire “cloud”. Le scelte stanno diventando così tante che è difficile sapersi muovere con cognizione di causa.

  5. Il cloud e desktop virtuali sono ancora in una fase in cui le infrastrutture e le tecnologie sono indietro rispetto ai desideri.

    Il desktop virtuale ha bisogno di buona connettività e di una gestione non banale dei server. C’è già, lo si può utilizzare, ma è l’infrastruttura al di sotto che non è sempre all’altezza.

    Il cloud, attualmente, ha grossi problemi di sicurezza e non può sostituire completamente il ferro per diverse tipologie di applicazioni quali, per esempio, le applicazioni con i/o molto spinto.

    Immaginatevi un cloud ibrido, con una cloud privata che in momenti di carico eccessivo migra alcuni servizi, e i dati connessi, su una cloud pubblica. Al momento non si è in grado di gestire quali di questi dati possano migrare su una cloud pubblica e quali no.

    Quindi, a oggi, non si è in grado di dire quali dati siano finiti dove. Estremizzando, paradossalmente, se io ho una cloud privata che esporta parte dei servizi su una cloud pubblica tipo Amazon EC2, non so se i miei dati sono migrati in USA, a Singapore, in Russia e nemmeno ho il controllo della sicurezza e gestione sulla cloud pubblica, ma nemmeno so se quei dati, facciamo l’esempio di qualche algoritmo di crittografazione su cui potrei essere al lavoro, migrano in un paese in cui non è consentito l’ingresso così bellamente, non parlo di stati canaglia, parlo degli USA. E così non sappiamo dove, non sappiamo con quali livelli di sicurezza, non sappiamo nemmeno se stiamo infrangendo delle leggi. E, con gli strumenti e tecnologie attuali, non possiamo saperlo.

  6. "il ruolo del sistemista di primo livello viene a ridursi notevolmente se non a scomparire del tutto". In un mondo ideale in cui l’utente medio sappia almeno leggere la lingua italiana.

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  7. Giorgio, sono d’accordo con te che le ragioni principali siano tecniche, prima tra tutte l’asimmetricità e la lentezza delle attuali connessioni, e Massimo dovrebbe avere una mia vecchia esternazione filmata su questo punto 🙂 Riporto il parere dell’Economist, non il mio. Ma per esempio mi è già capitato di trovare fortissime resistenze tra i rivenditori di hardware, chissà come mai.

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  8. Molto interessante il commento di Giorgio sul blog, a bernabè alla presentazione della nuvola italiana ho proprio fatto 2 domande una sulla sicurezza e una sulla mancanza di banda di upload che renderebbe snervanti le attese davanti al terminale da aprte degli utenti e bernabè mi ha risposto a Riva dicendo che la banda in upload non è una limitazione tecnica, credo che oltre a quello che ha detto giorgio ci sia da aggiungere l’inadeguatezza dell’infrastruttura "connessione"

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  9. @Massimo, se nessuno capisce cosa fai il tuo potere di veto è elevatissimo, nelle aziende che conosco l’It è spesso la principale barriera al cambiamento

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  10. I rivenditori di hardware hanno già visto castrarsi i blade con l’uscita dei virtualizzatori. I veri problemi sono l’inadeguatezza della infrastruttura (immagina un pezzo dei tuoi servizi che migra a Singapore e poi una bella nave passa e trancia un cavo sottomarino, tutti i tuoi utenti di Singapore saranno contenti di fruire dei tuoi contenuti, tu puoi dire ciao ai tuoi dati), la sicurezza, la conoscenza tecnica e di visione su cosa deve fare il cloud e dove andrà a parare questa tecnologia. Per ora, viene visto come una virtualizzazione dotata di auto provisioning e billing a consumo e lo scenario dichiarato come più vicino è quello delle cloud private, come potenziamento del provisioning di macchine virtuali all’interno delle singole architetture aziendali.

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  11. @Mafe: nelle aziende che conosco l’IT conta come il 2 di picche :D. @Gaspar Torriero: come già detto secondo me il problema è che se porti tutto fuori non sei più padrone dei tuoi dati, sicuramente abbatti i costi di gestione e la disponibilità dell’HW, ma devi anche avere tutta l’infrastruttura ed i software che si possano adattare a quel programma.

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  12. @Mafe: io ho sempre subito le scelte del marketing anche quando erano assurde e controproducenti (comunque tutte le più grandi aziende italiane praticamente)

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  13. Magari il progetto di crittografia te lo tieni comunque in casa. la contabilità, l’office e le HR non hanno particolari criticità a fronte di una normale sicurezza.

  14. Che poi, parliamoci francamente, in molte piccole/medie aziende la sicurezza e l’affidabilità dei server “in casa” non è questo gran che, vero?

  15. Per esperienza il marketing ha sempre dettato legge a noi dell’IT, ma sempre. Anche perché nella realtà dell’imprenditoria italiana il marketing viene visto come un vantaggio competitivo, l’IT come un costo incomprensibile, fatto da gente che fa le cose che il figlio fa a casa con il portatile. Un giorno ci sarà comprensione di cosa sia come funzioni e a cosa serva l’IT, m sarà sempre troppo tardi.

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  16. Da una parte è vero che spesso un IT poco illuminato è una importante barriera al cambiamento, dall’altra ho visto percorrere strade assurde e autolesioniste quando il business ha deciso di scavalcare e non coinvolgere l’IT. Io penso che l’IT, che ritengo fondamentale per qualsiasi azienda, finirà per unirsi con il business e non come succede oggi, in praticamente tutte le grandi aziende, dove sono reparti separati e spesso isolati. (io sono un fautore del cloud da tempo, l’articolo dell’economist mi pare però un po’ buttato li, c’è tanta strada da fare e le cose sono un po’ più complesse)

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  17. Non vedo la necessita di negare un evidente percorso verso il cloud e le virtualizzazioni: in questi mesi stanno migrando anche nei CED di comuni italiani, magari passando da vetusti server Win2000 con 1GB di ram (una sofferenza infinita) a server virtuali su architettura VMWARE ESX con Win2008R2 x64 (anche in service fuori dalle sale macchine comunali). E chi l’avrebbe mai detto solo 6 mesi fa? Faccio terrorismo tutti i giorni ai miei colleghi, prospettando il cataclisma del cloud per il lavoro dei sistemisti. E benvenga! (chi ha fatto piani di Disaster Recovery fino ad ieri mi puo’ capire)

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  18. Dipende, sinceramente i dati mission critical dell’azienda avrei qualche remora a metterli sul cloud, malgrado tutte le rassicurazioni del caso. Comunque non è che se l’O.S. (come spesso accade) è virtualizzato non abbia bisogno di nulla, non metterai le mani sul ferro, ma il resto lo devi gestire. Discorso a parte sono SAAS e PAAS.

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  19. La virtualizzazione non impatta in alcun modo sull’utilità dei sistemisti, anzi. Il cloud computing sta diventando un problema serio. Ma nella misura in cui sembra che qualcuno abbia dato una pistola carica in mano a dei bambini. Se prima la security era una rottura di scatole incomprensibile (fino a che non succedeva qualcosa di grave e allora erano pianti greci), oggi sembra diventata un’incomprensibile frenoalla diminuzione dei costi. La parola chiave è incomprensibile. Max, temo tu abbia ragione.

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  20. Che poi a me risulta del tutto stupefacente come non ci si renda conto che il cloud computing è la moderna versione della divisione internazionale del lavoro. Quello che c’è dietro al cloud non si mantiene da solo e richiede competenze sistemistiche massive. Semplicemente il lavoro si sta spostando da qui, per andare altrove. Niente di nuovo o di diverso da quello che sta succedendo in altri ambiti lavorativi. Ma dato che siamo nel regno dell’abracadabra, allora va tutto bene.

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  21. A favore della cloud io metterei però il fatto che, almeno nelle dimensioni (piccole) con le quali ho a che fare io, i sistemisti disastrosi che girano in alcune aziende ne sono tagliati fuori. Io vedo una richiesta di maggiori competenze anche in ambienti storicamente refrattari a riconoscere alcunché ai responsabili dei sistemi (a volte a ragione, peraltro).

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  22. Occhio che le previsioni danno come crescita primaria le private cloud, ovvero gli ambienti cloud all’interno di una stessa azienda. A un recente convegno la rappresentante dell’IT di Banca d’Italia dava come motivazione dei loro esperimenti di private cloud la necessità di non essere disintermediati dai loro colleghi di altri settori: già proliferavano server virtuali su Amazon in risposta alla lentezza con cui veniva effettuato il provisioning di macchine virtuali in BI. In questo caso self provisioning consente di evitare che utenti poco accorti, per fare in fretta acquistino spazio pubblico insicuro per fare prove ed esperimenti, portando fuori dall’azienda dati che potrebbero essere sensibili.

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  23. Michi comunque al migrazione al cloud computing te la deve fare qualcuno (o pensi che si possa farne a meno?), quindi o è una vaccata o la fa chi non è intitolato a farlo con sensatezza, di nuovo pistole in mano ai bambini.

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  24. Giorgio, questo può essere certamente vero per realtà molto grandi e aware dell’importanza di una pianificazione accurata della security aziendale, il 99% della realtà economica italiana non si avvicina neppure ad una visione di questo tipo (che riterrei vieppiù corretta). La conclusione è: ehi, non devo più tenere il server di posta o il NAS in azienda, tutti costi in meno. E non ho più bisogno di qualcuno che devo pagare per gestire queste cose. di nuovo, a costo di essere ripetitivo, pistole ai bambini.

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  25. Ubi, capisco il tuo punto ma per favore considera anche un altro scenario: quella miriade di piccole aziende che si sono dotate di strumenti informatici anche complessi e che non hanno il casa le risorse per gestirli correttamente. Quante volte abbiamo visto il tennico esterno che fa macelli tanto il cliente non capisce? L’impiegato che fa i backup sempre sulla stessa cassetta, da cinque anni? Le cassette tenute sopra il server e il server in un angolo dell’archivio della carta? In questi casi passare al cloud significa togliere di mano la pistola carica, o almeno mettere la sicura 🙂

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  26. La cosa più rilevante dell’articolo e del post di Gaspar è "L’articolo nota come l’IT stia rapidamente passando da spesa di capitale, con tutti i problemi di inefficienza, ammortamenti etc., a spesa operativa come la corrente elettrica.". Se avete gestito anche solo una Partita Iva sapete cosa significa: io non voglio fare la gara a chi-ha-più-aziende-con-l’IT-potente, però posso dirvi che anche solo la scelta dell’ambiente di sviluppo è così pesante in termini di legacy che per quanto riconosca i tantissimi problemi del cloud non posso che festeggiare.

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  27. (per ulteriore precisione, io mi occupo soprattutto di ambienti di community, che hanno problematiche un po’ diverse da, per dire, l’home banking o l’e-commerce)

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  28. Mah, la mia idea è che il cloud verrà visto in azienda come una forma molto più semplice di erogare infrastrutture come servizio (iaas) o al limite, più in là, come platform as a service (paas) in una private cloud. Che non servano sistemisti è una boiata. Puoi mettere un sacco di icone carine e una interfaccia web e anche l’ultimo pirla di questo mondo è in grado di scegliersi un processore, mezzo giga di ram e un po’ di disco, ma sotto, per far funzionare tutto, c’è bisogno di competenze sistemistiche, altrimenti la bella piattaforma non gira.

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  29. @mafe è il senso di frustrazione che parla. Un sistemista si sente "disintermediato" da business, quindi ogni cosa che semplifichi l’erogazione di servizi lo fa sentire più esposto.

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  30. Tra l’altro uno dei mantra di ITIL è proprio la necessità che i servizi seguano il business, che si lavori a braccetto ma seguendo le direttive del business. Ma in un senso differente da ciò che si intende comunemente.

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  31. Giorgio, in questo momento siamo tutti a rischio disintermediazione, resistere peggiora solo le cose. Non poter usare una piattaforma di invio newsletter esterna (cito esempio di stamattina) perché "ne abbiamo una interna" è uno dei tanti casi in cui questa apparente efficienza ha dei costi altissimi per l’azienda (anche diretti).

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  32. i sistemisti di primo livello solitamente sono poco più che dei principianti, non vedo come possano re veti. d’altra parte l’infrastruttura cloud non si fa da sola, e lì servono sistemisti capaci. a me il cloud piace, in tanti i casi è un’opportunità. spero solo si tolga in fretta di dosso quest’aura di panacea, con cui qualsiasi novità in questo settore deve fare i conti per qualche anno prima di prendere il suo posto *accanto* alle altre tecnologie. (no, che sembra che ora che c’è il cloud si possa dire addio ai server, che dimostra solo ignoranza, o incompetenza, o tutt’e due – per non parlare della malafede)

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  33. i sistemisti di primo livello solitamente sono poco più che dei principianti, non vedo come possano avere un veto. d’altra parte l’infrastruttura cloud non si fa da sola, e lì servono sistemisti capaci. a me il cloud piace, in tanti i casi è un’opportunità. spero solo si tolga in fretta di dosso quest’aura di panacea, con cui qualsiasi novità in questo settore deve fare i conti per qualche anno prima di prendere il suo posto *accanto* alle altre tecnologie. (no, che sembra che ora che c’è il cloud si possa dire addio ai server, che dimostra solo ignoranza, o incompetenza, o tutt’e due – per non parlare della malafede)

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  34. iopenso che dovrebbero sparire i sistemisti fai da te, che abbondano nelle aziende, perchè basta sapere scrivere "cmd" e tutti diventano sistemisti.

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  35. concordo con spider anch’io, inoltre molte cose sono già usate da anni: hosting dei server, dei siti, windows Terminal Service o Citrix. Si è ampiata l’offerta e ridotti i costi, ma è tutta roba già vista

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  36. @spider, se vuoi ti giro qualche mail (comunque stiamo parlando contemporaneamente dei singoli sistemisti e dell’IT in generale, che sono due cose ben diverse)

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  37. C’è anche da considerare la questione economica. La virtualizzazione dei client ha sicuramente molti vantaggi dal punto di vista della manutenzione, ma attalmente il costo delle licenze se si usano sistemi come VMware e Microsoft come sistema operativo scoraggiano l’adozione, a meno che non ci si trovi di fronte ad una reale necessità di aggiornare tutto il parco macchine e se questo è di un numero consistente.
    Virtualizzare sul fronte server è ormai prassi consolidata ma passare al cloud non sarà semplice, proprio per le ragioni che indicava Giorgio.
    Credo che siano le aziende più piccole a beneficiare delle possibilità del cloud, vista la sua elasticità in termini di risorse disponibili a richiesta e costi di manutenzione.

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