Vittorio Zambardino su Scene Digitali trova che l’aggregatore di Google sia piuttosto rozzo: concordo, ce ne sono altri migliori e la tecnologia è piuttosto giovane. Poi c’è questo passaggio degno di nota:
“Ecco così è la “caramella spogliata” degli aggregatori: una lista di notizie in tutto simile ai messaggi di una casella di posta, in cui è persa ogni elaborazione precedente. Resta il prodotto notizia senza brand, triturato nella sua omologazione, il prodotto senza “l’odore del piombo”.
I nuovi lettori tecnologici rivendicano a sé il diritto della sintesi e della gerarchia di valore, in diretta polemica con i media, cui negano l’autorevolezza di scregliere in loro vece.”
Non avrei saputo dirlo meglio! Ma mi pare che il problema non è quello dell’autorevolezza: senza farla troppo lunga, io credo che il motivo stia nell’impossibilità strutturale, da parte dei mezzi di informazione tradizionali, di ottenere lo stesso livello di personalizzazione che offre un aggregatore.
E se è pur vero che da una parte si perde il brand della notizia, dall’altra si recupera l’io di chi l’ha scritta (come ben sanno i molti giornalisti che hanno un blog di successo): non mi sembra cosa da poco.
E poi nel mio caso, ma credo sia esperienza comune, ho notato negli ultimi dodici mesi una costante ma lenta crescita delle visite al blog, mentre che gli accessi al feed si sono letteralmente impennati. E se quello che scrivo viene letto anche fuori dalla mia fetente grafica, sono contento.
Update: vedo che ne parla anche Massimo.