Commentando il mio precedente post, Palmasco mi bastona, con gentilezza è vero, ma a lungo e con nodosissima quercia. Riporto l’intero intervento soprattutto per te che mi leggi sul tuo aggregatore:
“Vorrei contestare la tua frase di chiusura.
Intanto nella sua qualità di giudizio superficiale e generico non appartiene al tuo stile, poi è una conclusione scarsamente correlata al resto del post, e in questa sua mancanza di nessi ancora non ti appartiene. Infine è certo che qualche statunitense sia razzista, è certo che vengano compiuti in continuazione episodi di matrice razzista, ma negli Stati Uniti, nonostante questo, il razzismo NON è una cosa normale: sia nelle leggi del paese che nei modi e nella mentalità e nelle convinzioni della maggior parte della gente. Negli Stati Uniti la gente normale non è razzista, e non si comporta in modo tale. Credo che siano fatti piuttosto assodati e di conoscenza comune, e che siano argomenti gravi, non vedo perché tirarli in ballo intorno a uno stupido giochetto. Per esempio, tanto per provare ad aiutarti a trovare la risposta che dici di cercare, avresti potuto ipotizzare che nella complessità etnica della società statunitense, complessa e integrata, un campione che tenga anche del dato etnico può portare informazioni utili, specialmente per analizzare un’attività totalmente libera e finora priva di reali risvolti economici come bloggare. Ciao, con lunghezza e fermezza appassionata, e soltanto per stima inalterata.”
Palmasco, hai ragione. Ho preferito la facile battuta all’approfondimento. Non me ne pento, che questo è il mio blog, mica il tuo. Ma ti ringrazio per lo stimolo e provo a spiegarti (e a batterti in lunghezza).
Mi pare che in Italia, e più in generale in Europa, non si chieda mai e a nessuno, per nessun motivo, di dichiararsi appartenente a una razza. Ed è vero che il dato potrebbe essere utile, ma non si fa e basta. Prova ad immaginarti il casino se la razza comparisse in un modulo pubblico… spero che su questo possiamo essere d’accordo.
Allo stesso modo non si chiede, in un questionario, la religione o l’orientamento sessuale o quello politico (a meno che non sia l’argomento principale del questionario, naturalmente).
Noto invece che in una popolare serie televisiva statunitense, ad esempio, l’infermiera dell’ambulanza, entrando di corsa nel pronto soccorso con un moribondo sulla lettiga dichiara sempre a gran voce l’etnia del paziente (non so se hai mai visto ER) e nessuno attorno a lei se ne stupisce.
Ricordo anche che Albert Einstein nel modulo di immigrazione Statunitense scrisse famosamente “razza: umana”.
Detto questo, spero comprenderai meglio perché non riesco a vedere la domanda #30 come un caso isolato, come tu invece proponi: a me sembra una abitudine ben radicata.
Mi ricorda mio nonno Alexander, che pure non faceva differenze pratiche di comportamento davanti alle diverse etnie ma che notava casualmente per strada “quel signore è ebreo”; che era una cosa terribile nella sua innocua banalità. Sono atteggiamenti che in Italia per fortuna sono (quasi) totalmente scomparsi. Rivederli in quel blog survey mi ha fatto impressione, che ci vuoi fare?
Per finire, anche tu riconosci che “è certo che qualche statunitense sia razzista, è certo che vengano compiuti in continuazione episodi di matrice razzista”. E allora, se abbaia come un cane e ha la coda come un cane, non sarà mica un cane?