Sabato scorso Shlomo Mintz (che suona un Guadagnini del 1752) e il pianista Itamar Golan erano al Conservatorio di Milano con un programma sontuoso:
Niccolò Paganini
Sonata n. 12 in mi minore op. 3Johannes Brahms
Seconda Sonata in la maggiore op. 100
Terza Sonata in re minore op. 108Paganini-Kreisler
Introduzione e Variazioni sul tema “Non più Mesta” (dalla “Cenerentola” di Rossini”)
Rondò dal Secondo Concerto per violino in si minore op. 7 “La Campanella”
Mintz è un grande interprete: ha la capacità di dare una visione originale, ma non cervellotica, del brano che interpreta. La sua musica ha sempre un senso preciso, ed è un senso nuovo, mai sentito prima. Me l’aveva già fatto questo scherzo, quando era venuto a dirigere e a reinventare le Quattro Stagioni in un modo che i Solisti Veneti (o peggio: Uto Ughi con l’accademia di Santa Cecilia) nemmeno si sognano.

Stessa cosa con Brahms: Mintz ne ha messo in rilievo il lato meditativo e intimista, rispetto a letture eroiche (Ughi) o solari (Perlman), più pacato nella op. 100 e più intenso nella op. 108. La mia comprensione di questi due capolavori ne è riuscita arricchita.
Completamente diverso il discorso su Paganini: virtuosismo delirante e assolutamente sovrumano. Mi è parso che dopo i passaggi più funambolici Mintz guardasse verso il pubblico con una certa aria di sfida, come a dire “Beccati questa!”.