Alla fine, il meglio è stato proprio Valentin Berlisky. Piccolino, secco, vivace, allegro, innamorato della musica, aveva la faccia di chi è felice di suonare. Gli altri tre invece fermi, impassibili, spenti, anche un poco lugubri, suonavano con poco romanticismo pensando agli affari loro.
Questa almeno è stata la mia impressione. Ma forse avevano mangiato salame cotto e polenta per cena, e ne subivano le conseguenze? Come indizio, ho visto parecchi caffè portati ai camerini durante l’intervallo.
Insomma, un concerto interessante ma non memorabile. Salvo l’Adagio affettuoso ed appassionato del Quartetto no. 1, bellissimo, che mi ha ripagato dell’essere rimasto fino alla fine.