Ieri sera al Conservatorio di Milano c’era il pianista tedesco Alexander Lonquich con questo curioso programma:
Richard Wagner
KlavierstükCarl Philipp Emanuel Bach
Sonata in do maggiore Wq 65/47-H248Richard Wagner
Albumblatt in la bemolle maggiore “Arrivo presso i cigni neri”Franz Shubert
3 Klavierstücke D 946Francis Poulenc
VillegeoisesAndré Jolivet
Mana (6 pieces pour piano)Maurice Ravel
Gaspard de la nuit
Prima sorpresa: sul palco c’era un microfono. Seconda sorpresa: Lonquich l’ha usato!
All’inizio di ognuna delle due parti del concerto ha spiegato i brani che andava ad eseguire, del perchè li aveva scelti e del come si rapportavano l’uno all’altro. Insomma una interessante lezione di musica, offerta con garbo, semplicità e intelligenza.
Di Wagner ha detto che si trattava di pezzi che Brahms avrebbe corretto con la matita rossa, ma che erano utili per entrare nella sua cucina compositiva, e che assieme alla sonata del Carlo Filippo si caratterizzavano per una certa “irregolarità del disegno compositivo”. Insomma ce li ha nobilitati e resi interessanti: se ce li avesse semplicemente suonato a freddo, sicuramente non saremmo stati in grado di apprezzare.
I Kalvierstücke di Shubert sono invece stati la cosa migliore di tutto il concerto: non facili, esoterici, con effetti molto ipnotici di moto continuo: insomma, bellissimi.
La seconda parte è stata dedicata al novecento minore (a parte Ravel) e, direi giustamente, dimenticato. Ma insomma è anche bello che un interprete segua un suo percorso di conoscenza e approfondimento e proponga pezzi rari. Ma Poulenc era una piccola collezione di jingles senza nessuno spessore, “di una leggerezza alla Nino Rota”. Jolivet era un avanguardismo esotico e chiassone che mi ha scatenato un abbiocco quasi invincibile. Dura è la strada che porta alla elevazione intellettuale.
Ma d’altra parte anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa sosteneva che per conoscere veramente una letteratura bisogna studiarne i tanti interpreti minori, e non solo i pochi grandi geni.
Come unico bis un Impromptu di Gabriel Fauré.