Mediamente (stra)parla dei blog

Esiste uno “stile giornalistico” facilmente riconoscibile, in cui si dice poco ma con tante parole, dove “poco” equivale alle due righe di agenzia appena lette su un argomento totalmente sconosciuto, e “tante” equivale alle dimensioni del riquadro assegnato. Altra caratteristica tipica è l’insinuazione, meno faticosa rispetto alla argomentazione.

Nel mondo oggi le notizie le da la televisione, la CNN che seguivamo durante la guerra del golfo o durante l’attacco alle torri gemelle. I giornali invece arrivano sempre dopo, e quindi danno commenti sulle notizie: senza approfondimenti, perchè non c’è tempo e bisogna andare in stampa.

Credo quindi sia corretto che questo mondo si senta seriamente minacciato dal weblog. Anche se il weblog è fondamentalmente “personal publishing”, non ha preclusioni su cosa pubblicare, e quindi a volte è anche “giornalismo”.

Il blog giornalista accede alle stesse fonti a cui accede il giornalista con patentino, e le riporta o le commenta (o entrambe) senza nessun vincolo con un editore o con un inserzionista pubblicitario. Soprattutto il blog non ha bisogno di fare ascolti, e quindi non è costretto a mettere due tette in prima pagina. Il blog non deve baciare nessun sedere.

Baciami, stupido!


L’articolo di Cristina Pini e Marta Mandò (giornalista di Repubblica) apparso su Mediamente ricalca perfettamente lo stile di cui sopra. Due passaggi rivelatori:

Fenomeno che si è affermato come genere giornalistico (e letterario) a sé stante, il cui stile letterario è paragonabile allo stile di un commento e la cui struttura narrativa è simile a quella di un diario. Arrivando a superare così la barriera deontologica del giornalista. A chi spetterà il compito di rettifica delle notizie inesatte e a chi spetterà riparare agli errori?

Ma nei “blog” le notizie non sono mai “fresh meat”, non sono mai di prima mano e le fonti risultano spesso essere tra le più disparate. Tutto questo riporta a quanto precedentemente detto sulla natura dell’informazione. Autori ed editori al tempo stesso, ma senza una responsabilità diretta sulla notizia. Forse senza alcuna etica. Apporre la propria firma, farsi leggere. È questa la fenomenologia – priva di ogni giudizio e di un linea editoriale – del “blogging”.

Secondo te ci credono davvero? Da una parte il giornalista con barriera deontologica e rettifica delle notizie. Dall’altra il blogger irresponsabile senza etica e senza “linea editoriale”. Ci vuole una bella faccia per fare queste affermazioni. Una discussione di tutt’altro livello era già stata fatta qui e qui.

Per finire una piccola chicca di affermazione campata in aria e non supportata da niente, nel tipico stile da giornalista:

In entrambe i casi gli iniziatori provengono dal mondo Linux, fatto non casuale perché il significato più profondo di questo movimento è la rottura di modelli stereotipati del fare Internet e l’affermazione di una modalità Free.

Ecco perché quasi tutti i weblog utilizzano software pensati per piattaforme Linux, basati su una banca dati per pubblicare e ordinare in modo automatico i contenuti.

Come?